La pittura è morta, nessuno vuole più dipingere, è molto più facile e meno faticoso prendere un oggetto e esporlo in una galleria presentandolo come opera d’arte concettuale. Ah maledetto Duchamp!
Ma sarà poi vero? Stiamo veramente assistendo al funerale della pittura?
Una delle domande più frequenti che in molti si pongono quando entrano in un museo di arte contemporanea è la seguente: “Ma perché diavolo i pittori hanno smesso di dipingere? Dove sono finite le velature, le sfumature e la ricerca del tono giusto? Perché hanno abbandonato i cari e tanto amati pennelli?”
È vero, le domande sono tre, ma possono essere riassunte e tradotte in un’unica questione: perché da un certo periodo storico in poi, gli artisti hanno abbandonato il modo tradizionale di lavorare e di fare arte?
Ovviamente il motivo non è uno solo, ne esistono diversi e vanno cercati tutti all’interno del contesto storico e culturale durante il quale questo cambiamento avveniva.
‘900: l’inizio della fine
Tutto ha inizio agli albori del 20° secolo con le avanguardie storiche. La grande pittura, quella d’Accademia, aveva già subito forti attacchi prima dai pittori realisti, poi dagli impressionisti e infine dai magnifici tre, i padri della pittura moderna: Paul Cézanne, Paul Gauguin e Vincent Van Gogh.
È però nel primo decennio del 1900 che si compie la rottura finale con la tradizione: Les demoiselles d’Avignon (1907) di Pablo Picasso butta a terra il castello della prospettiva che aveva dominato il mondo dell’arte per oltre 600 anni.
Passano pochi anni e nasce la pittura astratta: il primo acquerello astratto di Kandinskij è datato 1910. Nel frattempo Picasso e Braque avevano inserito materiali vari nelle loro tele creando i primi collage. Queste non sono semplici novità o stili nuovi, ma vere e proprie rivoluzioni.
Si continua così fino ad arrivare a uno dei gesti più estremi in campo artistico di quegli anni: l’esposizione in un museo di un orinatoio rovesciato da parte di Marcel Duchamp.
A questo punto si potrebbe pensare che a inizio secolo fare il pittore volesse dire andare controcorrente, avere un animo ribelle, sfidare a tutti i costi lo status quo, atteggiamenti questi che portarono a una rivoluzione del fare arte.
Ma se ci fermiamo a osservare bene il contesto storico, noteremo che cambiamenti epocali non si ebbero solo nel campo della pittura: in quegli anni Arnold Schoenberg inventava la dodecafonia, che segna una forte rottura con il passato.
Pensiamo a come le scoperte di un altro immenso genio, Albert Einstein, stessero rivoluzionando la fisica, o come gli studi di Sigmund Freud stessero facendo altrettanto per la psicologia. Pensiamo alla letteratura e a quello che stava facendo James Joyce al romanzo.
Non solo in pittura dunque, si cercano e si trovano nuove strade che portano a un profondo rinnovamento di pensiero e azione.
Un passo indietro e poi un’accelerata
Dopo tutti questi cambiamenti, alcuni pittori in tutta Europa, a partire dallo stesso Picasso, tornano a dipingere in uno stile classico: è il periodo del così detto ritorno all’ordine.
È un modo per staccarsi da canoni avanguardistici divenuti ormai una stanca e vuota ripetizione di modelli precostituiti e, dall’altro lato, un tentativo di sollevarsi al disopra del livello industriale dell’oggetto di massa a cui soprattutto il readymade aveva rilegato l’arte, abbassando il livello di abilità dell’esecuzione.
Ma non dura molto. Dopo la seconda guerra mondiale è tutto uno sbizzarrirsi di inedite tecniche, idee, novità originali. Si parte con Alberto Burri che fa pittura non più con pennelli e colori ma con plastiche, sacchi e legni.
E poi arriva il ’68, il fatidico ’68: inizia a diffondersi l’uso di materiali non convenzionali, si sviluppa la fotografia come mezzo artistico, si lavora con il corpo e con l’ambiente, nascono le prime performance.
Nel clima generale di rifiuto delle tradizioni, chi dipingeva ancora con colori e pennelli, non riusciva a trovare nessun gallerista disposto a rappresentarlo.
Dagli inizi del ‘900 agli anni ’70, dopo una lenta agonia, sembra proprio che la pittura sia morta. Ma come si è arrivati a questo efferato omicidio?
Chi ha ucciso la pittura?
A partire dal ‘900, ci sono sicuramente due eventi che hanno contribuito più di tutti alla rottura dei canoni tradizionali della pittura:
Lo sviluppo dell’industrializzazione ha sicuramente un profondo effetto sulla vita delle persone e sulla società e di conseguenza anche sugli artisti e sul loro modo di fare arte. Pensiamo ai temi della velocità, del movimento e delle macchine che già a inizio secolo iniziano a interessare gli artisti come i futuristi ma non solo.
Le profonde trasformazioni tecnologiche e organizzative rendono possibile la produzione in serie che diventa ben presto produzione di massa. Dall’operaio specializzato si passerà all’operaio-massa a bassissima professionalità, saranno sempre più le macchine a fare tutto: ecco spiegato (in parte) Duchamp.
L’industrializzazione offre quindi nuovi metodi di produzione, non solo agli imprenditori, ma anche agli artisti. Questi ultimi iniziano ad approcciarsi in maniera completamente nuova alla materia evitando di proposito lavori che richiedano capacità tecniche elevate.
Come ai lavoratori erano richieste capacità diverse da quelle che caratterizzavano il lavoro artigianale fulcro delle società antecedenti la rivoluzione industriale, così gli artisti puntano su skills completamente nuove rispetto alle tradizionali.
Alla capacità di saper miscelare i colori si preferisce lo spirito di ricerca. Piuttosto che saper riprodurre esattamente la realtà è sviluppata l’attitudine alla deduzione, al ragionamento e al pensiero radicale e innovativo. Niente scalpello, meglio la sperimentazione di nuovi materiali. Collaborazione invece che continuo miglioramento di competenze esclusivamente personali.
Insomma l’arte cambia perché la società cambia e come non esistono più i mestieri di una volta, anche i pittori non vogliono più affacciarsi al loro lavoro come si faceva in passato.
Così nascono sculture che sono di proposito non monumentali, dipinti di proposito non virtuosistici, disegni di proposito semplici e, in apparenza, infantili, e persino lavori che, sempre di proposito, non sembrano per niente opere d’arte.
Perché i pittori hanno smesso di dipingere e gli scultori di scolpire
Sono diverse le ragioni che spingono gli artisti, soprattutto a partire dagli anni ’70, verso questi nuovi modi di fare arte:
Sicuramente una delle principali, a cui per altro ho già accennato, è il desiderio di liberarsi dalla tradizione. È un desiderio diffuso in tutta la società, non succede solo nell’arte: pensiamo alla rivoluzione giovanile e a quella operaia, ai movimenti femministi e a quelli spirituali. Gli artisti vivono, si nutrono e spesso alimentano questo clima di cambiamento.
Ci si interroga sul valore dell’unicità dell’oggetto artistico. Il ‘900 è il così detto secolo delle masse, in quanto queste ultime per la prima volta guadagnano un ruolo nella storia. Questo porta all’estendersi dell’alfabetizzazione e della cultura, appunto di massa, che però è diversa rispetto alla cultura “alta” ma che ne influenza le forme espressive, soprattutto in pittura. Per qualcuno l’arte non deve più essere un ambito esclusivo per élite privilegiate, ma deve parlare e essere alla portata di tutti: ecco la Pop Art.
Si riconsidera la separazione fra arte e vita: nascono così gli happening e le performance, si esce dagli spazi istituzionali e dalle gallerie, si contamina l’arte con la vita e viceversa.
Si polemizza con il sistema commerciale dell’arte che tratta l’oggetto artistico alla stregua di un mero trofeo per gente ricca e spinge gli artisti a creare opere che soddisfino questo bisogno. Pensiamo alle scatolette di Merda d’artista di Piero Manzoni che già negli anni ’60 esprimevano una profonda e ironica critica a questo sistema.
Tutte queste idee culminano e trovano il loro più ampio sviluppo negli anni ’70. Insomma stando alle prove è il ’68 che ha ucciso la pittura.
La pittura è morta? Forse un falso allarme
Ma la pittura è morta per davvero? In verità, a ben guardare, sembra proprio viva e in perfetta salute. Il ’68 non ha ucciso proprio niente e nessuno: colpevole scagionato, il fatto non sussiste.
Il ’68 semplicemente ha segnato uno spartiacque fra passato e presente, piantando i germogli per una pittura che guarda al futuro. I pittori non hanno mai smesso di dipingere, semplicemente non lo fanno più come lo si faceva un tempo, seguendo i canoni tradizionali.
Se ci si avvicina all’arte contemporanea aspettandosi di trovare quadri dipinti alla maniera di Raffaello e Michelangelo si rischia di rimanere estremamente delusi. L’arte riflette e ha sempre rispecchiato il proprio tempo, quanto sarebbero contemporanee oggi madonne, angeli e resurrezioni?
Oggi anche l’arte è entrata nel ciclo della globalizzazione e gli artisti si trovano a dialogare con culture diverse e lontane come quelle di Cina, India e Africa, entrate di forza anche loro nel giro dell’arte che conta. Cambiano i temi, cambiano i mezzi, cambiano soprattutto i linguaggi. Ma la pittura è viva, vegeta e, anzi, in gran forma.
Quelle qui sotto sono opere di ottimi pittori contemporanei, vediamo se ne riconosci qualcuno e se soprattutto ti piace il loro modo di dipingere (passando il mouse sulle immagini ti comparirà il nome).
Nel 1915 a Pietrogrado Kazimir Malevič in occasione dell’esposizione “Ultima mostra Futurista: 0,10”, presenta “Quadrato nero su fondo bianco”: è l’inizio del linguaggio artistico che verrà chiamato “Suprematismo”.
Nel 1915 a Pietrogrado Kazimir Malevič in occasione dell’esposizione “Ultima mostra Futurista: 0,10”, presenta “Quadrato nero su fondo bianco”: è l’inizio del linguaggio artistico che verrà chiamato “Suprematismo”.
Si è risolta con un “perché il fatto non sussiste”la lunga vicenda processuale che ha visto coinvolto l’Archivio Dadamaino nella persona dell’attuale Direttore Scientifico Prof.
Oggi abbiamo interpellato un’esperta del settore, Martina Manco, titolare della galleria d’arte The Strip, specializzata nella promozione e vendita di opere di Pop e Street Art,
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