Kazimir Malevič: un’icona del nostro tempo

In questo blog abbiamo già parlato di Kazimir Malevič in relazione al tema dell’arte monocromatica (vedi articolo Storia del Monocromo in arte: la potenza del colore) ma non siamo mai riusciti ad approfondire quanto merita la figura di questo fondamentale artista e del linguaggio da lui creato, il Suprematismo.

Lo farà per noi oggi Serena, studentessa della scuola di Valorizzazione dei Beni Culturali presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.

Buona lettura! 

Serena Macchi

Serena Macchi

Studentessa Accademia
di Belle Arti di Brera

Nel 1915 a Pietrogrado, in occasione dell’esposizione “Ultima mostra Futurista: 0,10”, l’artista ucraino Kazimir Malevič presenta per la prima volta Quadrato nero su fondo bianco, opera che può essere considerata il punto di partenza della ricerca verso la ‘non-oggettività’ e l’inizio del linguaggio artistico che verrà chiamato “Suprematismo”.

Il titolo è la lineare esemplificazione di questa essenziale tela dalle dimensioni contenute: una forma quadrangolare nera si staglia su una superficie bianca, mettendo in risalto l’aspetto prettamente bidimensionale della composizione. La pittura perde definitivamente lo statuto di rappresentazione del mondo sensibile: ci si trova davanti al Nulla, alla rappresentazione non-oggettiva.

In questo modo Malevič rifiuta la raffigurazione mimetica, fedele agli oggetti, legata alla tradizione figurativa e si pone alla ricerca di un nuova espressione comunicativa dell’arte, svincolandosi totalmente dal mondo oggettivo.

L’artista si libera della ‘rappresentazione’ in nome della ‘presentazione’ dell’immagine di qualcosa che è ‘altro’ dal visibile. Sviluppa cioè una tendenza all’iconicità: proprio come nelle icone, anche in quest’opera non è il visibile a essere raffigurato, ma un’alterità invisibile che si manifesta attraverso il visibile pittorico, senza essere copia, imitazione. Non a caso Malevič definisce personalmente la tela “un’icona del mio tempo”.

Proprio in relazione a questo pensiero l’opera sarà collocata in una posizione particolare all’interno del percorso espositivo della mostra “0,10”: nell’angolo in alto formato da due pareti dove nelle case ortodosse, secondo la tradizione russa, erano esposte le icone sacre del ‘Cristo benedicente’ o della ‘Madre di Dio’ o del ‘San Nicola’.

L’avvicinarsi di Malevič all’arte popolare delle icone sarà fondamentale per compiere il passaggio decisivo verso una nuova sensibilità, un nuovo modo di guardare il mondo a cui corrisponde di conseguenza l’abbandono della visione ordinaria del fare arte.

Egli infatti scrive in merito all’incontro con questo tipo di arte:

Tutte le concezioni sulla natura e sul naturalismo dei Peredvizhniki furono demolite dal fatto che i pittori d’icone, raggiunta una grande maestria tecnica, riproducevano il contenuto in una verità antianatomica, fuori dalla prospettiva spaziale e lineare1

Vista della sala di 0.10 L’ultima mostra futurista
La sala di "0.10 L’ultima mostra futurista"

Dalle antiche icone russe al Suprematismo

L’arte delle icone, considerata dall’artista come “la forma più alta della cultura artistica contadina2”, costituirà il punto di partenza della sua ricerca verso il rifiuto della resa realistica e il fondamento che sta alla base del Suprematismo.

Dalla pittura popolare iconografica riprende infatti una concezione dell’immagine che sposta il proprio interesse dall’ordine mondano delle cose – il mondo dell’oggetto, basato sulla rappresentazione e sulla logica dell’identico – ad un ‘aldilà’ rispetto ad esso.

In questo modo l’opera pittorica non è un’immagine da considerare nella sua assolutezza, conclusa nella sua rappresentazione, ma un’immagine che si apre all’infinito, verso una ‘alterità’ irriducibile , mettendo in comunicazione la sfera del visibile a quella dell’invisibile. In questo senso le icone, come i quadri suprematisti, non sono raffigurazioni che possono essere abbracciate totalmente dallo sguardo, in quanto lo eccedono, lo oltrepassano presentando qualcosa di ‘altro’, chiamandolo a superarsi e non a rapprendersi dentro a un visibile.

Il bisogno di mostrare un alterità che non si può ridurre a oggetto spiega la ‘non-oggettività’ delle tele suprematiste, ovvero il rifiuto della rappresentazione e la tensione verso lo ‘zero delle forme’.

Così si realizza la negazione della raffigurazione del visibile e la rappresentazione del nulla, che al contempo è anche presentazione di ‘altro’. Malevič non solo abbandona in maniera radicale la figurazione, ma anche una delle peculiarità più importanti del realismo tradizionalmente inteso, ovvero la tridimensionalità.

Attraverso l’uso di campiture piatte e omogenee, l’artista riscopre e fa proprio il pensiero concettuale che sta alla base della tipica bidimensionalità della pittura delle icone. Infatti, al contrario di quanto si potrebbe ingenuamente pensare, la resa pittorica bidimensionale dell’arte iconografica non è dovuta ad un’incapacità tecnica degli artisti che l’hanno realizzata, ma è determinata da una precisa scelta. L’obiettivo non era la verosomiglianza nei confronti della realtà, ma trascendere il visibile per poter cogliere un ‘altro’ che non è riducibile nell’identico.

Composizione suprematista (1915)
Kazimir Malevič: Composizione Suprematista (1915)

Per questa ragione nella pittura delle icone non vi sono ombre, chiaroscuro e sfumature: l’immagine si presenta come un prodotto della luce. Anche attraverso l’ostentata e sistematica violazione della resa della prospettica, si coglie un sistema di rappresentazione e percezione che esclude un rapporto di imitazione con la realtà.

Molto spesso, infatti, venivano mostrate parti e superfici di oggetti che non era possibile vedere simultaneamente, oppure nella prospettiva le linee convergenti verso l’orizzonte erano, al contrario, rappresentate divergenti.

L’utilizzo di questi procedimenti volti a trasgredire i canoni prospettici, rispettivamente noti come ‘policentrismo della raffigurazione’ e ‘prospettiva rovesciata’, non sono quindi derivati da un ingenuo primitivismo, ma sono frutto di un cosciente procedimento dell’arte iconografica.

Attraverso la negazione della rappresentazione oggettiva, la pittura diventa un mezzo per rivelare ciò che non può essere ridotto a immagini, in quanto si fa presentazione di una verità irriducibile. Inoltre, tali scorrettezze “estremamente premeditate e consapevoli4”, spesso erano volutamente sottolineate da cromie accese. Proprio per questo non sono da considerare degli ‘errori’, ma un modo per presentare qualcosa aldilà dal visibile.

Quindi, proprio come accade nelle tele suprematiste, anche nelle icone si coglie l’assenza di una rappresentazione logica. L’astrattismo contemporaneo, attraverso il rifiuto della riduzione dell’immagine a una mera raffigurazione del visibile, in maniera implicita ha di fatto ripreso e ampliato il pensiero che gli antichi Padri della Chiesa avevano formulato in merito alle icone e al problema dell’iconoclastia5.

Se infatti gli idoli venivano considerati immagini puramente visibili, una rappresentazione assoluta, e pertanto rinnegata (poiché era considerato sacrilego adorare un’immagine), la legittimità delle icone sta nella rivelazione di qualcosa di ‘altro’ rispetto al visibile e al finito. Esse sono infatti da considerare una rappresentazione circoscritta, e non assoluta, in quanto si aprono alla presentazione di un’alterità irriducibile. Per questo sono state definite da Pavel A. Florenskij “porte regali” che mettono in comunicazione il visibile e l’invisibile, essendo allo stesso tempo sia rappresentazione che presentazione, e che in questo modo permettono di raggiungere l’“essenza delle cose” e la “verità dell’essere”6.

Nelle icone si manifesta l’inesprimibile, che in quanto tale, dunque non può essere espresso in maniera logico-discorsiva; di qui il rifiuto intrinseco dell’imitazione. Analogamente, l’opera suprematista, mediante l’annullamento della raffigurazione oggettiva, manifesta la presenza di qualcosa che è ‘altro’ e in questo si verifica la sua intenzione iconica7. In entrambi i casi infatti si arriva a mostrare la verità, inesprimibile, non attraverso la rappresentazione logico-discorsiva, ma attraverso la sua negazione.

L’incapacità di rappresentare qualcosa che è inesprimibile e irrappresentabile, testimonia la verità di queste opere che esprimono una docta ignorantia, ovvero il riconoscimento dei limiti della propria finitezza. In queste opere pertanto non c’è ‘finzione’ ma l’espressione della presenza di un’alterità attraverso il rivelarsi di un’apparizione. L’Essere infatti viene inteso come evento, riconoscibile solo nel momento del suo apparire.

L’Essere coincide con il ‘Nulla’ in quanto è la negazione del significato logico, ovvero negazione della rappresentazione, ma allo stesso tempo affermazione di qualcosa che è ‘altro’. L’Essere presentando  semplicemente se stesso -si dà, si mostra, appare- presenta l’altro.

Il segno non è rappresentazione di qualcosa, ma rivela l’altro, ovvero il Nulla, in quanto Nulla di rappresentabile e dicibile [...] non indica la fine della pittura, ma esprime la consapevolezza che si deve continuare a dipingere perché il Nulla si riveli.8.

Il carattere iconico delle opere suprematiste consiste proprio nell’alludere a qualcosa che si dà solo come assenza. Nelle opere di Malevič infatti abbiamo lo “zero delle forme”, il “niente liberato”, che l’artista stesso definisce “nuovo realismo”, perché manifesta la realtà del mondo “senza oggetto”.

Svincola in questo modo, una volta per tutte, l’idea pittorica dalla discorsività dell’espressione delle forme, decretando definitivamente e in maniera radicale la fine dell’arte figurativa. Si tratta infatti della nascita di un nuovo modo di fare pittura, che si distacca dal mondo materiale-oggettivo, liberando la pittura ‘pura’, ‘suprema’: da qui il nome dell’avanguardia, “Suprematismo”.                     

Kesemir Malevic: Composizione-suprematista bianco su bianco (1918) Museum of Modern Art (New York) - Olio su tela
Kesemir Malevic: Composizione-suprematista bianco su bianco (1918) Museum of Modern Art (New York) - Olio su tela
Icona Russa
Antica icona russa raffigurante il Cristo Benedicente "Pantocrator", sulla cornice quattro figure di santi protettori a figura intera
Malevic - Quadrato Nero del 1915
Malevic Quadrato Nero del 1915

Nel Suprematismo la superficie piano-pittorica viene considerata un’entità a sé stante, autonoma, priva di rapporti di dipendenza con il mondo oggettivo, tant’è che Malevič stesso afferma: “la superficie-piano è viva, è nata”. L’artista, abolendo ogni rappresentazione, non intende però abolire la pittura stessa: è attraverso lo ‘zero delle forme’ che si manifesta ciò che è invisibile, l’Essere, ovvero quell’alterità irrappresentabile.

Sono infatti le cose visibili che costituiscono il maggior impedimento alla possibilità di poterlo cogliere, pertanto ne deriva la ‘non-figurazione’, ‘non-rappresentazione’ della pittura astratta. Essa rifiuta quel modo di conoscere e considerare il mondo come un ‘oggetto’, ma anche la nozione stessa di ‘oggetto’ e di ‘oggettività’: per questo è ‘non-oggettiva’.

Astrarsi dall’oggetto significa per Malevič rendersi ‘liberi per’ la cosa come non-oggetto che, in quanto tale, non può essere rappresentata. Se non può essere rappresentata allora la cosa è il nulla di rappresentazione, per questo nell’astrazione non c’è alcun rimando all’oggetto. In questo senso si può dire che l’opera suprematista sia una “sorta di radicalizzazione dell’icona”: se infatti la figurazione ‘scorretta’ delle icone, mediante la negazione della rappresentazione logica, permetteva un’apertura verso qualcosa che è ‘altro’, nelle tele suprematiste vi è un’immagine nella quale si manifesta soltanto qualcosa che è ‘altro’, che appare senza essere un’immagine.

Ciò comporta in maniera netta e radicale il nulla della rappresentazione. L’arte astratta è quindi, secondo il pensiero dell’artista, questione di ‘libertà del nulla’: è l’astrazione ‘suprema’. Il ‘nulla della rappresentazione’ non è però semplicemente una negazione, non è nichilismo, poiché si tratta di un “nulla svelato”, ovvero che mostra l’apparizione di un non-oggetto non rappresentabile.  La non-oggettività rivela l’Essere, che coincide con il ‘niente’.

Dunque, diversamente da quanto si potrebbe pensare, l’astrazione di Malevič non concerne l’interiorità, non è da intendere come l’eliminazione della rappresentazione del mondo esteriore a vantaggio del modo interiore dell’artista, come avviene per esempio nelle opere di Kandinskij. Infatti, in questo caso, l’astrazione non rompe i rapporti con il mondo, ma opera semplicemente una sostituzione dell’oggetto, dall’esteriore all’interiore. Al contrario secondo il pensiero suprematista la pittura non dipende da realtà extra-pittoriche, ma ha un essenza ontologica, cioè volta a conoscere l’Essere, e trae la sua fonte d’ispirazione direttamente dal materiale.

L’artista definisce il Suprematismo come “il nuovo realismo della pittura, la creazione non-oggettiva”. Diversamente dal realismo tradizionale, dove era riconosciuta una corrispondenza tra la cosa e il visibile, il realismo di Malevič ricerca la verità, l’Essere. Esso si ritrova nell’assenza della forma, perché solo attraverso il Nulla è possibile far apparire il mondo non-oggettivo, irriducibile, irrappresentabile.

La tensione verso lo ‘zero delle forme’ è motivata dal fatto che il mondo, la pittura, la Dio, rimangono per l’artista impossibili da indagare e conoscere, pertanto non possono essere rappresentati. Come egli stesso scrive:

La Chiesa ha deciso che Dio sia imperscrutabile […]. Imperscrutabili sono anche la linea, la forma e la superficie pittorica […]. Così la vita umana è fatta di cose inesistenti, imperscrutabili, inconoscibili, inafferrabili9.

E ancora:

La natura […] non si svela nelle cose, nelle sue manifestazioni, non possiede né linguaggio né forma10

La realtà non è rappresentabile né conoscibile. Nulla è conoscibile ma nello stesso tempo questo nulla eterno esiste11

Il nulla è ‘altro’ dal mondo oggettivo12e l’unico modo per presentarlo è mediante l’annullamento dell’oggetto, quindi delle forme e della rappresentazione . Il nulla coincide con Dio, poiché è eterno, indistruttibile  e non può essere né compreso né raffigurato come oggetto13.

Quadrato nero su fondo bianco non è altro che la realizzazione della presenza del Niente, dello ‘zero delle forme’. Il niente è fondamentale nella visione dell’artista, perché l’Essere è tale solo in presenza del Nulla. Infatti, perduta la propria oggettività, l’Essere è e si rivela, proprio in quanto manifesta il Niente, mostra il Nulla. In altre parole: esso non viene definito a partire dalla negazione del nulla, cioè l’Essere non appare in quanto contrapposto alla non-rappresentazione, ma al contrario si manifesta solo mostrandosi in quell’ ‘altro’, in quella verità irriducibile che coincide con il Nulla.

Non si tratta infatti di una filosofia della negazione, ma dell’assenza. È nel Niente che l’Essere ritrova la sua iconicità. L’icona infatti interessa Malevič perché è una forma inevitabilmente inadeguata rispetto a un contenuto che sempre la trascende: ovvero la figurazione non può esprimere ciò che è Dio nella sua totalità, ma allo stesso tempo può essere un’apertura che fa apparire ciò che è irrappresentabile.

Allo stesso modo anche l’Essere si manifesta nel Nulla delle opere suprematiste, trascende l’opera: in questo senso possiamo definire per esempio Quadrato nero su fondo bianco come un’ ‘icona astratta’, un’ ‘icona del nostro tempo’. Proprio per questa ragione secondo l’artista l’immagine pittorica si dà allo spirito e non all’occhio. In questo modo si spiega il rifiuto della percezione esclusiva del visibile, poiché il mondo non-oggettivo è al di là della rappresentazione. Ciò comporta l’autonomia della pittura rispetto a realtà extra-pittoriche e conseguentemente la creazione di una nuova realtà, della quale il suprematismo si fa portavoce.

In definitiva Malevič parte dalla disgregazione del mondo visibile e attraverso l’astrazione si ‘libera per’ la costruzione del mondo per lui reale, il mondo senza oggetto, che non essendo rappresentabile si presenta attraverso la tensione verso lo ‘zero delle forme’.

Tale Nulla è manifestazione di una verità irriducibile che lo trascende, proprio come avviene analogamente nelle icone.

BIBLIOGRAFIA

1 K. Malevič, Scritti 1918-1923; p.373

2 ivi, p. 372

3 L. di Ponzio, Icona e raffigurazione. Batchin, Malevič, Chagall, adriatica, Bari 2000

4 Pavel A. Florenkij,  La prospettiva rovesciata, Adelphi Milano

5 Giuseppe Di Giacomo, Icona e arte astratta, Aesthetica Preprint, Palermo 1999

 6 Pavel A. Florenkij,  La prospettiva rovesciata, Adelphi Milano

7 Giuseppe Di Giacomo, Icona e arte astratta, Aesthetica Preprint, Palermo 1999

8 Ibidem

9 K. Malevič, Scritti 1921-22; p.175       

10 Ibidem            

11K. Malevič, Dio non è stato detronizzato. L’arte La Chiesa La Fabbrica, in Scritti; p.281

12 Ivi, p. 283

13Ivi, p. 288

14Ivi, p. 296