Finalmente dopo quattro anni di intenso lavoro, è giunto al termine il restauro del Cartone preparatorio della Scuola di Atene di Raffaello Sanzio, conservato alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano.
Grazie all’invito della Biblioteca Ambrosiana e della casa editrice Electa ho avuto l’onore e il piacere di ammirare in anteprima l’opera che sarà mostrata alla città e al pubblico internazionale insieme al nuovo allestimento il 27 marzo 2019 con l’evento espositivo Il Raffaello dell’Ambrosiana. In Principio il Cartone.
Quello della Biblioteca Ambrosiana è il più grande cartone rinascimentale a noi pervenuto.
In realtà Raffaello aveva realizzato un cartone preparatorio di dimensioni uno a uno per tutti gli affreschi delle stanze vaticane, ma nessuno è giunto integro a noi se non questo.
De “La Disputa del Sacramento” si conserva solo il cartone della testa del Dio Padre, tutto il resto è stato perduto.
Questo rende ancora più prezioso il cartone superstite e il lavoro di restauro durato più di un anno e mezzo (tolti i tempi burocratici) diretto e coordinato da Maurizio Michelozzi.
Ma come è giunto fino a noi questo capolavoro?
Il cartone della Scuola di Atene: la storia
La Scuola di Atene è il grande affresco della filosofia che cerca di spiegare la vita: Aristotele, Pitagora, Platone, Socrate, Averroè e tutti i più celebri filosofi e matematici dell’antichità sono intenti nel dialogare tra loro.
Questo è uno dei motivi per cui si è conservato integralmente fino ad oggi.
Diviso poi in “due pezzi di disegno di Raphaele d’Urbino in cartone”, arrivò in Ambrosiana nel 1610 come prestito dal conte Fabio II Visconti di Brebbia, cugino di Federico Borromeo.
Alla morte di quest’ultimo, è stato ceduto definitivamente nel 1626 dalla vedova Bianca Spinola Borromeo, per l’esorbitante somma di seicento lire imperiali.
Nel maggio del 1796 entra a far parte del bottino Napoleonico: venne requisito dal commissario francese Peignon, che cita il Cartone in testa alle opere da confiscare all’Ambrosiana. A Parigi, tra il 1797 e il 1798, si avviò una lunga procedura per il restauro dell’opera.
Il 30 settembre 1815 il Cartone venne consegnato dal Direttore Generale del Louvre alla Commissione austriaca per il recupero delle opere d’arte provenienti dalle regioni italiane di dominio austriaco.
Trasferito nel 1918 a Roma per essere tutelato dai rischi dei bombardamenti bellici, nel 1942 venne messo al sicuro nel caveau della cassa di Risparmio delle Province Lombarde e nel 1946 venne esposto alla mostra di Lucerna organizzata per recuperare fondi per la ricostruzione dell’Ambrosiana.
L’ultimo rinnovamento della sala 5 della Pinacoteca Ambrosiana, a cura di Luigi Caccia Dominioni, avvenne nel 1966. In quegli anni il cartone subì un altro intervento invasivo di restauro.
Ad ogni spostamento subito, da Roma a Milano, da Milano a Parigi, dalla Francia ancora in Italia, il cartone è stato tagliato ed è probabile che questo abbia comportato la perdita di alcuni pezzi.
In origine infatti, il cartone comprendeva anche tutta la parte di architettura superiore che si può ammirare nell’affresco.
Raffello Sanzio, è ora della sua riscoperta?
Se dovessimo pensare ai nomi dell’arte italiana più conosciuti dal grande pubblico, sicuramente dovremmo citare Michelangelo, Leonardo, Raffaello e Caravaggio.
Sono i quattro grandi del passato che, per motivi diversi, rappresentano nell’immaginario comune la “figura dell’artista”.
Ma se oggi dovessimo stilare una classifica tra questi quattro grandi, nei gusti della gente Raffaello occuperebbe sicuramente il quarto e ultimo posto.
Eppure fino almeno alla seconda metà del Novecento Raffaello è stato universalmente riconosciuto come l’artista al vertice assoluto dell’arte. Com’è possibile che oggi sia stato “dimenticato” e messo così da parte?
Ognuno dei tre artisti che lo precedono in questa (fantomatica) classifica ha qualcosa che a Raffaello manca per piacere ancora oggi.
Andiamo a scoprire cosa con un confronto uno ad uno.
RAFFAELLO vs CARAVAGGIO
Ogni epoca si sceglie il suo artista, quello che più lo rappresenta, quello con cui sente un’affinità maggiore.
La nostra epoca assetata di emozioni, ha scelto Caravaggio.
Il Merisi oggi ha addirittura superato nel gusto comune la stella del Buonarroti che negli anni Ottanta diventò davvero abbagliante grazie ai restauri della Cappella Sistina.
D’altronde Caravaggio con le sue immagini realistiche e i suoi scorci di luce ha anticipato il cinema e la fotografia. E quanto è importante la fotografia oggi nell’epoca dei Brand e degli influencer?
L’artista e la sua vita contano e fanno più mondo dell’arte stessa che egli ha prodotto. Gli artisti maledetti la fanno da padroni, sia che si tratti di Rock Stars scomparse prematuramente a 27 anni sia che si tratti di grandi personaggi della Storia dell’Arte.
E allora tutti in fila a vedere Caravaggio e Van Gogh, i film sulla loro vita ancor più che le mostre.
Raffaello non può competere, di maledetto non ha niente: non ha ucciso, non si è ucciso, non si è drogato.
È morto a 37 anni facendo l’amore.
Il Vasari scrive che lasciò questa vita a causa di eccessi d’amore, per:
“…aver troppo sacrificato a Venere…”
Il suo corpo fu sepolto nel Pantheon, come egli stesso aveva richiesto.
L’amico scrittore umanista Pietro Bembo compose per lui questo epitaffio:
“Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci, rerum magna parens et moriente mori.”
(Qui giace quel Raffaello, da cui, vivo, Madre Natura temette di essere vinta e quando morì, [temette] di morire [con lui].)
Raffaello e Caravaggio sono come due fenomeni del calcio, come Pelé e Maradona: del primo quasi non si sa più niente, il secondo invece fa ancora parlare di sé ma non per le sue qualità calcistiche quanto per le sue bravate.
RAFFAELLO vs MICHELANGELO
Raffaello era solare e socievole, un uomo di mondo che nella società di allora si muoveva a suo agio tra Papi, signori e dame di corte.
Il più lontano possibile quindi dal retaggio dell’artista tutto tormento e solitudine che ci è stato tramandato dal Romanticismo: non aveva il caratteraccio irruento, ombroso e lacerato da passioni contrastanti… come invece aveva Michelangelo Buonarroti.
Raffaello con la sua gioiosa febbre di vivere era un cortigiano perfetto, un uomo raffinato, elegante, delicato e adorato da tutti. Là dove Michelangelo vedeva nemici ovunque e si perdeva dietro dispute e sfide inutili e futili, Raffaello era uomo flessibile, malleabile, servile quel giusto che basta per circondarsi di amici, ammiratori e soprattutto di belle donne.
E poi era talmente bello…
Il pittore lombardo e autore di trattati Giovanni Paolo Lomazzo, scrive:
“Raffaello aveva nel volto quella dolcezza e quella bellezza dei tratti che tradizionalmente si attribuiscono a nostro Signore Gesù Cristo.”
Il Vasari invece:
“…era bello e raffinato oltre che di grande abilità e colui che ne sa creare opere simili non va chiamato uomo ma, se possibile, dio mortale…”
Le qualità divine dell’uomo si trasferirono presto anche alle sue opere, come quando, per esempio, nel 1517 la nave diretta a Palermo su cui viaggiava un suo grande dipinto ad olio su tavola, lo Spasimo di Sicilia, fu sorpresa da una forte tempesta e subì un naufragio. Andò tutto perduto tranne il capolavoro dell’urbinate che…
“ripescata e tirata in terra, fu veduta essere cosa divina e per questo messa in custodia, essendosi mantenuta illesa e senza macchia o difetto alcuno, percioché sino alla furia de’ venti e l’onde del mare ebbono rispetto alla bellezza di tale opera.”
Queste somme di qualità colpirono tanto i contemporanei che il Conte Pandolfo Pico della Mirandola scrisse una lettera a Elisabetta Gonzaga descrivendo il panico che aveva colpito la città di Roma:
“…quando nostro Signore Raffaello spirò, un grande nembo s’addensò sul Vaticano e s’aprirono crepe nelle pareti e in cielo apparvero carri; gli stessi segni della morte di Nostro Signore Gesù Cristo e il Papa, urlando, scappò all’interno più oscuro dei palazzi vaticani…”
Fu presto leggenda: Raffaello non morì più all’età di 37 anni, ma a quella di 33 come Nostro Signore.
Queste caratteristiche che un tempo lo insignirono del titolo di “Principe dei pittori”, oggi gli hanno fatto perdere punti nei confronti di Michelangelo, molto più apprezzato e conosciuto.
Eppure alla sua morte anche il Divino Michelangelo dovette ammettere:
“…un astro del mondo si era spento per sempre…”
RAFFAELLO vs LEONARDO
L’artista che più di tutti ha visto inalterato nei secoli il suo livello di gradimento tra il grande pubblico è Leonardo, forse perché più che un artista, Leonardo era uno scienziato, come amava definirsi anche lui stesso.
Raffaello perde oggi la sfida anche con questo grande maestro per un semplice motivo: le sue opere non possiedono il mistero che invece si nasconde dietro a quelle di Leonardo.
Raffello è un pittore chiaro e sereno. È stato l’interprete di un ideale di bellezza classica, canonica, passata poi nel gusto d’interi secoli fino a giungere a noi.
La bellezza dei suoi personaggi è tale da rasentare quasi il distacco e da essere paragonate ai Miracoli di Cristo. Anche per questo i suoi contemporanei gli attribuirono qualità divine.
Ma il mistero delle sue opere, che pure c’è, è inafferrabile e sfuggente, meno evidente rispetto al mistero delle opere di Leonardo.
La differenza tra i due si nota soprattutto nei ritratti di donne: quelle di Leonardo sono algide, quasi asessuate. Nei ritratti di Raffaello la femminilità è palpabile, viva, si sente che quelle donne non sono state semplicemente ritratte ma anche amata dall’artista.
Il Miracolo del Cartone: il vero Raffaello
Oggi che l’opera è nuovamente visibile al pubblico, Raffaello ha la possibilità di riscattarsi, anche perché il cartone, a differenza dell’affresco romano alla cui creazione hanno partecipato più collaboratori, è stato realizzato interamente dalla sua sola mano.
Inoltre qui è assente quel colore per cui l’artista marchigiano è diventato celebre, apprezzato da tutti e temuto persino da Michelangelo che ne aveva riconosciuto il genio.
Esiste un aneddoto famoso a riguardo.
Nel 1512 Raffaello e Michelangelo lavorano insieme in Vaticano: il primo alle stanze private di Giulio II, il secondo alla Cappella Sistina.
Vasari racconta che quando Michelangelo si allontanava dal lavoro per riposarsi, Raffaello con i suoi collaboratori approfittava dell’assenza per copiare gli splendidi nudi di Michelangelo. Ma quando era Raffaello ad allontanarsi per andare a trovare la sua amata Margherita Luti, Michelangelo lasciava il lavoro e andava a copiare i colori di Raffaello.
L’assenza di questo “famoso” colore rende chiaro e visibile il tormento di Raffaello, un tormento che è prettamente artistico e che nei suoi quadri è nascosto dietro a una pittura praticamente perfetta.
Sono visibili i ripensamenti, gli schizzi, il tratto deciso, le linee perfette e sicure e le ombre nere create con un tampone (lo spolvero) su cui solo in un secondo momento è stato posto il tratto.
Tutta la forza di Raffaello è espressa e racchiusa in questo cartone che forse non servirà a farlo tornare in auge nel grande pubblico, ma sicuramente è un dono eccezionale alla città di Milano e a chi ama l’arte più delle mode.